L’affaire Museo Torlonia

Al numero cinque di via Corsini a Trastevere si apre un cortile con muri rosa antico e una pavimentazione in pietre bianche e grigie. Era l’ingresso, fino a quaranta anni fa, del Museo Torlonia, che Federico Zeri definì “La più importante collezione privata di scultura antica esistente al mondo”. 620 fra statue, busti, bassorilievi e sarcofagi greci e romani quasi tutti integri e di grande pregio. Come si formò la straordinaria raccolta? A Roma il collezionismo di pezzi antichi risale al medio evo, ma non è il caso dei Torlonia: nobili di fresca data – nel 1797 il banchiere Giovanni Torlonia era stato insignito del titolo di marchese di Romavecchia da Pio VI, che gli era riconoscente per una cospicua donazione – i Torlonia, dotati di mezzi quasi illimitati, comprarono i palazzi, le ville, i terreni, nonché le collezioni d’arte dei Borghese, dei Pamphili, dei Ludovisi, dei Massimo, dei Caetani, dei Savelli, degli Orsini. In quel periodo la nobiltà storica romana viveva una crisi profonda – politica e finanziaria – per la Rivoluzione francese, l’occupazione napoleonica e i moti libertari che agitavano la penisola. I Torlonia accrebbero la collezione con campagne di scavo nei loro possedimenti: la Villa dei Quintili, la via Latina, il porto di Traiano, Cerveteri, Anzio. Giovanni ottenne anche i titoli di principe di Civitella Cesi e di duca di Poli e Guadagnalo. Il figlio Alessandro prosciugò il lago di Fucino e nel 1859 creò il museo nel palazzo ad angolo fra via della Lungara e via Corsini.Per più di un secolo riferimento di studiosi e appassionati, nel 1970 il museo chiuse per lavori di manutenzione e scomparve. Cosa fosse accaduto lo racconta Antonio Cederna in un articolo su Repubblica del 18 agosto 1991: “Alessandro junior, con una piccola licenza per la riparazione di un tetto ha operato un’inaudita metamorfosi. Ha trasformato le sale del museo in 93 miniappartamenti accatastando l’una sull’altra le 620 sculture come rifiuti di magazzino. Nel 1977 il pretore Albamonte sequestrò il palazzo, gli affitti e, su denuncia della Soprintendenza archeologica, la collezione. Ma l’anno dopo intervenne la prescrizione per il reato edilizio e l’amnistia per il reato contro il patrimonio storico artistico. Chiunque in Italia”, conclude amaro l’ambientalista, “può distruggere un museo archeologico e stare tranquillo”.Da allora la collezione Torlonia, segregata in un sotterraneo, è diventata un oggetto misterioso. Nel 1979 la Corte di Cassazione sentenziò che quelle opere, trasferite in “locali angusti, insufficienti, pericolosi, stipate e addossate l’una all’altra erano destinate a sicura morte dal punto di vista culturale”. E così è stato. Infatti nessuno la ha più viste, e si cercherebbero invano nei libri di storia, nelle enciclopedie o nei manuali di storia dell’arte, poiché una documentazione fotografica non è disponibile, a parte due o tre immagini degli scantinati che i giornali ripropongono ogni volta che si torna sull’argomento. Delle fotografie, in realtà esistono, scattate nell’800, e sono quelle che presentiamo in questo servizio. Furono pubblicate nel 1884 dallo Stabilimento Fotografico Danesi in un album intitolato “I monumenti del Museo Torlonia di scultura antica riprodotti con la fototipia” tirato in pochissime copie, una delle quali abbiamo reperito negli scaffali di una soprintendenza. Il tomo, enorme, mostra le sculture così come si potevano osservare nel museo. Sono immagini di sobria eleganza, realizzate utilizzando la luce delle finestre – all’epoca non c’era l’elettricità – che consentono una fedele lettura delle opere, quanto basta per apprezzarne la qualità eccelsa. La descrizione di ogni singolo pezzo, a cura di Carlo Ludovico Visconti, testo prezioso ancora oggi, fu pubblicata l’anno dopo in un volume a parte. Nel 1982 una commissione di archeologi nominata dal ministro per i beni culturali Vincenzo Scotti valutò in decine di miliardi il prezzo da pagare per l’acquisizione della raccolta, mentre per Italia Nostra lo Stato doveva entrarne in possesso senza sborsare una lira, in cambio delle penali dovute dal Torlonia a termini di legge. Nel 1990 venne formulata e subito accantonata l’ipotesi di esporre le sculture nel palazzo Torlonia in via della Conciliazione. Fallirono pure un progetto del Campidoglio per il trasferimento delle opere nell’ex Mattatoio al Testaccio e uno dei Torlonia per la realizzazione di un museo a Villa Albani – grandioso complesso di loro proprietà sulla via Salaria – unitamente a un parcheggio sotterraneo di 600 posti. Nel febbraio del 2002 una proposta di legge firmata da 43 deputati di sinistra e ambientalisti prevedeva l’acquisizione a titolo gratuito della collezione Torlonia al demanio dello Stato. Nell’agosto 2003 corse voce che la volesse comprare personalmente Silvio Berlusconi per donarla agli italiani. A tott’oggi non ci sono stati ulteriori sviluppi

Mimmo Frassineti
Mimmo Frassineti vive a Roma. Ha studiato al Liceo Giulio Cesare, quindi all’Università La Sapienza laureandosi in Storia dell’arte moderna. I suoi primi lavori sono stati come scenografo, nel cinema e nella televisione, e come illustratore per alcune riviste. Si è poi dedicato, da free-lance, alla fotografia e al giornalismo, seguendo soprattutto la voglia di viaggiare. Nel 1970, al quotidiano "La Stampa", copre eventi di attualità politica, sociale e culturale. Nel 1971 entra nella agenzia Team, che lascia nel ’76 per fondare, con altri colleghi, l'A.G.F. che si afferma come agenzia fotogiornalistica nazionale. Nasce, nello stesso anno, La Repubblica, con cui Frassineti instaura un intenso rapporto di lavoro. Dal 1987 collabora con il Venerdì, realizzando reportages da Irak, Siria, Israele, Libano, Yemen, Turchia, Tunisia, Etiopia, Russia, Romania, Polonia, Bangladesh, Cina, Stati Uniti, e da quasi tutte le nazioni dell'Europa occidentale. Ma, fra i temi che ha più approfondito, c’è Roma, nei suoi molteplici aspetti. Pubblica anche su l’Espresso, Archeo e National Geographic e altri settimanali e quotidiani italiani e stranieri. Autore di mostre e libri fotografici, ha svolto attività didattiche e di promozione culturale nel campo della comunicazione visiva.

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