Paolo VI celebra il Corpus Domini. Roma 1977

Papa Paolo VI celebra il Corpus Domini nella basilica di S. Paolo fuori le mura. Suore

 

 

Andy Warhol e Federico Fellini. Roma 1977

Arriva in agenzia la notizia di un incontro tra Andy Warhol e Federico Fellini a largo S. Susanna. Corriamo, il collega Adriano Mordenti ed io, e troviamo i due che conversano amabilmente, proprio in mezzo alla strada. La scena è ripresa da un operatore, altri fotografi non ce ne sono.  Warhol impugna una piccola Leica provvista di flash e ritrae più volte Fellini, mentre parla con lui. Poi si presta a farsi fotografare seduto sulla balaustra della fontana del Mosè, della quale traccia anche uno schizzo.  Foto di Mimmo Frassineti e Adriano Mordenti

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Cesare Zavattini, Roma 1978

Cesare Zavattini nel suo studio di pittore a via S.Angela Merici, e nella sua casa ai Castelli Romani.

 

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Toti Scialoja, 1976-1991

Si celebra al MACRO con due importanti mostre il centenario della nascita di Toti Scialoja.  Era  mio amico e, prima ancora, amico di mio padre. L’ho fotografato nella sua casa-studio due volte, nel 1976 e nel 1991. In quest’ultima circostanza mi ha dedicato il quadro che stava dipingendo. La grande tela era fissata al pavimento con nastro adesivo, mentre intorno Scialoja aveva creato un paravento per salvare le pareti dagli schizzi di colore.  Mischiava lui stesso i pigmenti  con il vinavil e brandiva pennelli larghi e piatti. Ho anche alcune immagini scattate nel novembre 1980 all’Accademia di Belle Arti, di Scialoja con i suoi studenti.Continue reading →

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L’affaire Museo Torlonia

Al numero cinque di via Corsini a Trastevere si apre un cortile con muri rosa antico e una pavimentazione in pietre bianche e grigie. Era l’ingresso, fino a quaranta anni fa, del Museo Torlonia, che Federico Zeri definì “La più importante collezione privata di scultura antica esistente al mondo”. 620 fra statue, busti, bassorilievi e sarcofagi greci e romani quasi tutti integri e di grande pregio. Come si formò la straordinaria raccolta? A Roma il collezionismo di pezzi antichi risale al medio evo, ma non è il caso dei Torlonia: nobili di fresca data – nel 1797 il banchiere Giovanni Torlonia era stato insignito del titolo di marchese di Romavecchia da Pio VI, che gli era riconoscente per una cospicua donazione – i Torlonia, dotati di mezzi quasi illimitati, comprarono i palazzi, le ville, i terreni, nonché le collezioni d’arte dei Borghese, dei Pamphili, dei Ludovisi, dei Massimo, dei Caetani, dei Savelli, degli Orsini. In quel periodo la nobiltà storica romana viveva una crisi profonda – politica e finanziaria – per la Rivoluzione francese, l’occupazione napoleonica e i moti libertari che agitavano la penisola. I Torlonia accrebbero la collezione con campagne di scavo nei loro possedimenti: la Villa dei Quintili, la via Latina, il porto di Traiano, Cerveteri, Anzio. Giovanni ottenne anche i titoli di principe di Civitella Cesi e di duca di Poli e Guadagnalo. Il figlio Alessandro prosciugò il lago di Fucino e nel 1859 creò il museo nel palazzo ad angolo fra via della Lungara e via Corsini.Per più di un secolo riferimento di studiosi e appassionati, nel 1970 il museo chiuse per lavori di manutenzione e scomparve. Cosa fosse accaduto lo racconta Antonio Cederna in un articolo su Repubblica del 18 agosto 1991: “Alessandro junior, con una piccola licenza per la riparazione di un tetto ha operato un’inaudita metamorfosi. Ha trasformato le sale del museo in 93 miniappartamenti accatastando l’una sull’altra le 620 sculture come rifiuti di magazzino. Nel 1977 il pretore Albamonte sequestrò il palazzo, gli affitti e, su denuncia della Soprintendenza archeologica, la collezione. Ma l’anno dopo intervenne la prescrizione per il reato edilizio e l’amnistia per il reato contro il patrimonio storico artistico. Chiunque in Italia”, conclude amaro l’ambientalista, “può distruggere un museo archeologico e stare tranquillo”.Da allora la collezione Torlonia, segregata in un sotterraneo, è diventata un oggetto misterioso. Nel 1979 la Corte di Cassazione sentenziò che quelle opere, trasferite in “locali angusti, insufficienti, pericolosi, stipate e addossate l’una all’altra erano destinate a sicura morte dal punto di vista culturale”. E così è stato. Infatti nessuno la ha più viste, e si cercherebbero invano nei libri di storia, nelle enciclopedie o nei manuali di storia dell’arte, poiché una documentazione fotografica non è disponibile, a parte due o tre immagini degli scantinati che i giornali ripropongono ogni volta che si torna sull’argomento. Delle fotografie, in realtà esistono, scattate nell’800, e sono quelle che presentiamo in questo servizio. Furono pubblicate nel 1884 dallo Stabilimento Fotografico Danesi in un album intitolato “I monumenti del Museo Torlonia di scultura antica riprodotti con la fototipia” tirato in pochissime copie, una delle quali abbiamo reperito negli scaffali di una soprintendenza. Il tomo, enorme, mostra le sculture così come si potevano osservare nel museo. Sono immagini di sobria eleganza, realizzate utilizzando la luce delle finestre – all’epoca non c’era l’elettricità – che consentono una fedele lettura delle opere, quanto basta per apprezzarne la qualità eccelsa. La descrizione di ogni singolo pezzo, a cura di Carlo Ludovico Visconti, testo prezioso ancora oggi, fu pubblicata l’anno dopo in un volume a parte. Nel 1982 una commissione di archeologi nominata dal ministro per i beni culturali Vincenzo Scotti valutò in decine di miliardi il prezzo da pagare per l’acquisizione della raccolta, mentre per Italia Nostra lo Stato doveva entrarne in possesso senza sborsare una lira, in cambio delle penali dovute dal Torlonia a termini di legge. Nel 1990 venne formulata e subito accantonata l’ipotesi di esporre le sculture nel palazzo Torlonia in via della Conciliazione. Fallirono pure un progetto del Campidoglio per il trasferimento delle opere nell’ex Mattatoio al Testaccio e uno dei Torlonia per la realizzazione di un museo a Villa Albani – grandioso complesso di loro proprietà sulla via Salaria – unitamente a un parcheggio sotterraneo di 600 posti. Nel febbraio del 2002 una proposta di legge firmata da 43 deputati di sinistra e ambientalisti prevedeva l’acquisizione a titolo gratuito della collezione Torlonia al demanio dello Stato. Nell’agosto 2003 corse voce che la volesse comprare personalmente Silvio Berlusconi per donarla agli italiani. A tott’oggi non ci sono stati ulteriori sviluppi

L’Archivio Antonio Cederna, Roma, 2004

 

Al IV miglio dell’Appia Antica, all’altezza di via Capo di Bove – una breve traversa in vista della tomba di Cecilia Metella – due anni fa la Soprintendenza archeologica di Roma ha portato alla luce un impianto termale del II secolo d.C. Il complesso, con mosaici, rivestimenti parietali e pavimentali e marmi policromi rivaleggia per lusso ed eleganza con la villa dei Quintili. In epoca medievale l’area fu inclusa nelle proprietà ecclesiastiche del Patrimonium Appiae e coltivata a vigneto, come attestato dai documenti d’archivio e dai tagli operati nelle strutture per piantare le viti. L’impianto termale è circondato da un vasto giardino dove sorge anche una villa costruita negli anni ‘50 la cui pianta oblunga ricalca quella di una cisterna romana nel sottosuolo, che alimentava le terme. In questo edificio ha trovato sede l’archivio di Antonio Cederna, che raccoglie i materiali 40 anni di battaglie a difesa del patrimonio storico e del territorio, dell’Appia Antica in particolare, donato dalla famiglia allo stato. La documentazione copre un arco cronologico tra gli anni ’40 e gli anni ’90 del XX secolo, con alcuni documenti personali precedenti, come un quaderno delle vacanze della II elementare. Lettere, appunti – Cederna si documentava scrupolosamente – libri, fotografie, documenti che saranno il nucleo del Centro di documentazione dell’Appia che si va costituendo, un d’intesa con il comune di Roma, la pontificia commissione di archeologia sacra, l’ente Parco e Italia nostra. La sistemazione e digitalizzazione di questi materiali sono in corso ad opera della società Regesta.exe in collaborazione con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e l’Istituto Beni Culturali dell’Emilia Romagna. Un work in progress che acquisisce anche filmati, soprattutto dell’Istituto Luce e della Rai relativi a Cederna ed ai temi a lui cari che è già consultabile in rete (www.archiviocederna.it)

La proprietà di Capo di Bove, il cui nome deriva dai bucrani che ornano il fregio alla sommità del mausoleo di Cecilia Metella, fu acquisita per 3 miliardi di lire dal Ministero per i beni e le attività culturali grazie all’esercizio della prelazione nel gennaio 2002. Segnò per la Soprintendenza un importante successo, poiché venne sottratta ai privati un’area di 8500 m² di eccezionale importanza archeologica che apparteneva all’ampia tenuta di Erode Attico, il Pago Triopio, come si deduce da una iscrizione greca che menziona Annia Regilla, la moglie di questo illustre personaggio, fu precettore di Marco Aurelio e di Lucio Vero.

Cederna scomparve il 27 agosto agosto del 1996 quando era presidente dell’Azienda per il Parco dell’Appia. Archeologo e urbanista nei suoi articoli e nei suoi libri condusse una lotta radicale in difesa dei centri storici, dei parchi nazionali, della campagna e del paesaggio, dei litorali assediati dalla cementificazione. Considerò inscindibili la tutela del patrimonio storico e lo sviluppo armonioso della città moderna, mentre vandali e speculatori che non esitavano sfacciatamente a proporsi proprio loro come alfieri della modernità. Per Cederna “ I beni culturali e ambientali sono un bene comune e scopo finale della loro conservazione deve essere l’uso e il godimento pubblico, la loro tutela è una questione di principio e non ammette scelte discrezionali.” Sul mondo di Pannunzio, sul Corriere della Sera, su Repubblica e su L’Espresso sono 140 gli articoli che Antonio Cederna dedicò all’Appia Antica e alla campagna romana. “La via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e per le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio …. Perchè da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte.” Così in uno storico pezzo, I gangsters dell’Appia, che uscì sul Mondo dell’8 settembre 1953 nel quale Cederna denuncia l’aggressione edilizia: ” Quello che l’anno scorso era ancora un pezzo di campagna romana, un dolce irregolare avvallamento a prati, alberi, orti, con qualche vecchio casale, è oggi un deserto d’inferno ad altipiani e abissi, sconvolto dalle macchine scavatrici, che hanno distrutto alberi, prati e orti, che mangiano la terra intorno ai vecchi casali, lasciandoli sospesi in cima ad assurdi pinnacoli.”

Per nobilitare l’aspetto delle ville dei ricchi e delle mura che le proteggono non si esita a depredare i monumenti. In L’Appia in polvere, dell’11 settembre 1956, Cederna descrive il muro di cinta al numero civico 223 dove i pezzi antichi, molti di pregio, sono impiegati come materiale da costruzione. I predatori dell’Appia trovano a suffragare le loro pretese compiacenti urbanisti, politici, archeologi, architetti. In Esperanto urbanistico, su Il Mondo, 25 gennaio 1955, Cederna passa in rassegna quelle opinioni, che vorrebbero fornire alla speculazione un’alibi culturale: c’è chi l’invasione edilizia della Appia Antica la propugna in nome delle eterne leggi della vita; chi propone un sempre più intimo inserimento della via nella città; chi accampa fini etici: se l’Appia rimanesse campagna si creerebbe un problema di polizia e di morale alle porte di Roma. Si sostiene l’ Appia non si può imbalsamarla, cristallizzarla : le leggi del progresso impongono un continuo divenire agli uomini, alle cose e alla via Appia.

Già nel 1952 Cederna, aveva impedito alla Società Generale Immobiliare la lottizzazione della Villa dei Quintili, per edificarvi un quartiere di alta classe. In un articolo sul mondo il 18 ottobre 1955 denunciò il progetto, da parte dell’Azione cattolica e del Coni, della costruzione di uno stadio sopra le catacombe di San Callisto in vista delle Olimpiadi del 1960, che sarebbe stato intitolato a Pio XII per le benemerenze sportive del pontefice. “Dunque avremo sulla via Appia Antica uno stadio incastrato fra i ruderi romani …che andrà a coprire un terreno impastato di ossa di santi e di martiri, dove vennero sepolti 16 papi.” Il 22 dello stesso mese una nota d’agenzia informava che Pio XII, che pure aveva benedetto la prima pietra recatagli in Vaticano, non intendeva insistere per la costruzione di uno stadio sull’Appia Antica. Il 16 dicembre 1965 si pubblica il piano regolatore che vincola un’area di 2500 ettari destinando a parco pubblico l’Appia Antica e la campagna che la circonda. Subito dopo la destinazione a parco pubblico dell’Appia Antica è definita illegittima dal Consiglio di Stato. Nel 1972 il Comune delibera l’esproprio di 76 ettari nella valle della Caffarella, e di altri 110 nel 1977. Nel 1980 il Consiglio di Stato annulla gli atti di esproprio della Caffarella. Nel 1985 la Soprintendenza Archeologica riesce ad acquisire 22 ettari intorno alla Villa dei Quintili. Nel 1988 la Regione Lazio istituisce il Parco Regionale della Appia Antica. Antonio Cederna muore il 27 agosto 1996.

L’area archeologica di Capo di Bove, con ingresso gratuito tutti i giorni al numero 222 dell’ Appia antica, ha visto un grandissimo successo di visitatori. “ E’ un cancello aperto, afferma con un misto di orgoglio e di amarezza Rita Paris direttore del monumento e…, in un luogo dove ovunque si vedono muri e cancelli chiusi.” La scelta di ospitare qui l’archivio Cederna e il costituendo centro di documentazione ha quindi una forte valenza simbolica.

Foto di famiglia con assenza, circa 1890

 

 

Manca l’uomo, in questa classica foto di famiglia fine ‘800, trovata a Porta Portese. Per l’epoca non era certo usuale andare dal fotografo lasciando il marito a casa. La donna ha un’espressione serena. I figli – un maschietto e tre bambine – guardano con fermezza l’obbiettivo. Sono proletari: i piccoli indossano modesti grembiulini. Perché manca il marito? Forse il destinatario della foto  è proprio lui, emigrato in un altro paese. Così può vedere come crescono i figli – benissimo a quanto sembra – e sapere che sua moglie lo aspetta. E anche ricordarsi di essere un padre di famiglia, e tenere la testa a posto.